immagine per Quanto assomigliamo alle nostre app?

Quanto assomigliamo alle nostre app?

Possiamo chiamarli programmi, software, applicazioni, app: sono quella cosa scritta in codice che trasforma i nostri computer in quel che vogliamo perché permette loro di fare ciò che gli chiediamo.

Scrivere un romanzo, mandare un’email, pagare una bolletta; creare una canzone, un’illustrazione, un sito web; lavorare soprattutto, attraverso pagine, tabelle, presentazioni e mille altri schemi digitali che assomigliano a supporti tradizionali come fogli e pagine bianche, pronti per essere scritti.

Chiamiamole app, per comodità. In gergo, un’app diventa una killer app quando è quella che fa proprio il caso nostro, quando la usiamo per parecchie ore al giorno, e – volenti o nolenti – a forza di usarla non solo siamo diventati bravissimi, ma abbiamo approfondito la sua conoscenza andando oltre la necessità quotidiana.

Insomma una killer app è un’app che in qualche modo è diventata qualcosa oltre un semplice strumento di lavoro: forse una nostra estensione, o un modo per esprimerci.

Certe app ci assomigliano. O forse siamo noi che proiettiamo nei programmi il nostro desiderio di realizzare qualcosa senza avere limiti. Molti di noi usano gli stessi comandi tutto il giorno per una vita, e quando capita di dover fare una cosa nuova si chiudono a riccio.

Altri si incuriosiscono e come una sfida cercano, sbattono la testa, studiano i tutorial sul web, chiedono ai colleghi, e infine vincono. Quel pezzetto in più di conoscenza è andato a incrementare la nostra professionalità, ma la vera soddisfazione è la scoperta, il problema risolto; la sfida vinta.

Le app ci assomigliano, e noi assomigliamo alle app che abbiamo scelto. Qualche anno fa, il mondo dei grafici era diviso tra chi usava Freehand e chi Illustrator; da quando Adobe ha acquistato Macromedia, il primo è defunto a favore del secondo. A parte il tema del partitismo e della faziosità, c’è da dire molti grafici sceglievano proprio in base a quale dei due gli assomigliasse di più.

Conosco molti professionisti che assomigliano ai loro software. Consulenti che amano incasellare e programmare in cellette tutto quel che fanno, il lavoro come la vita, perché Microsoft Excel è la loro killer app. Se potessero, metterebbero un Ʃ in coda a tutte le boiate e ai successi fatti in una vita. Conosco digital artist che in un software a livelli come After Effects morirebbero di claustrofobia, perché la loro killer app è Nuke, che non ha livelli ma uno spazio infinito dove posizionare i nodi.

Un mio collega grafico è perfettamente a suo agio in InDesign perché gli dà la possibilità di impaginare operando scelte al millimetro, e trema al pensiero di tutti quelli che impaginano usando Word o perfino Powerpoint.

Mia moglie progetta interni di yacht con Rhinoceros non perché sia il miglior software 3D; è quello che gestisce le nurbs al meglio, perché è fondamentale gestire anche il dettaglio più microscopico in un settore come la nautica dove si ragiona in millimetri e non in centimetri.

Ognuna di queste persone assomiglia alla propria killer app; ed io, che di app ne uso e ne amo molte, assomiglio a Photoshop perché posso accendere e spegnere parti del mio disegno separatamente, e così mi piacerebbe fare nella mia vita. Raggruppare le cose per concetti, dare un colore al Gruppo Famiglia e uno al Gruppo Lavoro, gestire i sottogruppi senza alterare il disegno generale.

E sopratutto, poter tornare indietro nella History, vedere cosa ho combinato, trovare il punto dove ho fatto una boiata, e magari essere ancora in tempo per annullarla con Command + Z. Ma in questo gigantesco Sistema Operativo che si chiama vita, annullare, ahimè non è possibile.

CONDIVIDI?

Facebook
Twitter
Pinterest
LinkedIn

Lascia un commento

se li hai persi

Comunicare le emozioni

L’occasione per fermarmi a riflettere sul mio mestiere l’ho avuta qualche settimana fa, quando Akiko Gonda mi ha